La rivoluzione informatica è quasi alle porte e, sebbene da anni se ne stia parlando, ora sembra essere imminente la creazione dei tanto discussi computer quantistici (o quantici).
Non molti ne sono a conoscenza ma già nel 2007 si era cercato di sviluppare il prototipo di un possibile computer quantico che fu chiamato Orion.
Nel 2011 la D-Wave Systems, fondata da Haig Farris, Geordie Rose, Bob Wiens e Alexandre Zagoskin, ha realizzato un nuovo prototipo di computer quantistico D-Wave One seguito, nel 2013, da D-Wave Two successivamente acquistato dalla NASA e da Google per un prezzo assurdo (qui gli ultimi risultati di Google ottenuti per il D-Wave Two). La D-Wave non è ovviamente l’unica azienda che attualmente lavora sui computer quantici ma è la più conosciuta e quella che ha progredito maggiormente negli ultimi anni. Ogni tipo di studio cerca di approcciarsi ai computer quantici in modo diverso, la D-Wave è interessata all’utilizzo del metodo di ricottura quantistica (quantum annealing) per ricercare il minimo stato di energia richiesto, il più velocemente possibile, per arrivare alla conclusione (in altre parole la risposta più semplice e più corretta possibile).
La loro grandezza ricorda molto i computer degli anni Cinquanta (per esempio le poderose macchine progettate ed elaborate grazie a von Neuman tra cui ENIAC del 1946): enormi ed alti scatoloni simili ad armadi che rubavano una grossa quantità di spazio nelle stanze delle aziende. La differenza però c’è non solo a livello tecnologico ma anche formale: il momento in cui apriamo la porta centrale in cui vi è apposta la scritta D-Wave ci troviamo di fronte ad uno schermo del computer con la sua bella tastiera e tutto ciò che ci serve per lavorarci direttamente.
Ora, abbiamo accennato al computer quantico ma cosa significa effettivamente la parola “quantico” o “quantistico”? Esiste un intero universo di studi fisici che ruota attorno a questa parola e risulta davvero molto riduttivo doverlo spiegare in poche righe ma questa non è la sede per scavare sulla questione. Quanto, in realtà, proviene dalla parola latina quantum, ovvero quantità, per chi ha qualche conoscenza di alcune basi della fisica possiamo ricollegarci alla teoria del quanti o quantistica già teorizzata da Einstein nel 1905 (sviluppata, poi, da moltissimi altri fisici) per cui esistono delle grandezze, chiamate quanti, non scomponibili ma in grado di contenere in sé più valori e non uno solo come accadeva nella fisica classica che studiamo normalmente alle superiori. Cosa implica ed ha implicato negli ultimi anni questo? Beh, direi una vera e propria rivoluzione nel nostro modo di pensare e, quindi, in tutte quelle materie, scientifiche e non, che oggi continuano a progredire. La logica, per esempio, ha dovuto iniziare a rendere conto del fatto che non esisteva una sola possibilità, un solo sillogismo per cui “se A allora B quindi C” ma un mondo di altre soluzioni per cui “è possibile che A, allora B quindi C” un semplice e piccolo cambiamento in cui il “se” si trasforma in “è possibile che” (normalmente stilizzato nel linguaggio logico con un quadratino vuoto) che implica in sé più potenziali coesistenti e non prevedibili se non statisticamente. Il fisico e matematico Hugh Everett alla fine degli anni Cinquanta ha espresso la teoria dei mondi incompossibili, ovvero che tiene conto delle possibili realtà parallele rese potenziali a seconda del sistema in uso e della posizione dell’osservatore. Quest’ultima teoria è arrivata ad esplodere (oltre che in campo fisico), in un certo senso, nella letteratura e nel cinema creando mondi fantastici e realtà parallele in cui i vari mondi possibili si dipanano: un esempio cinematografico calzante, per non citare i classici e più conosciuti Matrix e The 13th floor che “stiracchiano” un po’ troppo la teoria perdendola di vista, è Mr. Nobody di Jaco Van Dormael in cui un ragazzino di nome Nemo, trovandosi di fronte ad una scelta per lui importante (restare o meno col padre oppure partire e prendere il treno con sua madre), immaginerà il suo possibile futuro divenendo la propria storia e divenendo quattro diversi Nemo.
Detto questo, più o meno abbiamo capito grosso modo le implicazioni di qualcosa che ha a che vedere con il quantico: parliamo, quindi, del fatto che possiamo contemporaneamente osservare più punti di vista potenziali senza doverli suddividere in una teoria delle probabilità. Questo significa che un computer quantico dovrebbe essere in grado di elaborare contemporaneamente più dati, diversi, interfacciarli e relazionarli attraverso l’uso dei principi e degli algoritmi quantici tenendo conto di differenti sistemi e punti di vista per poter dare una risposta riguardo alle varie potenzialità. Il ragionamento del computer quindi funzionerebbe un po’ come una sorta di frattale quadridimensionale in grado di specchiarsi all’infinito. Il problema, qui, è che prima o poi il computer dovrà sapere quando fermare i suoi calcoli. Forse essendo in grado di risolvere problemi matematici ancora aperti come il celebre P vs NP? Si vedrà.
Il computer quantico non lavorerà più, quindi, utilizzando il famoso codice binario, “0 oppure 1”, a cui tutti siamo abituati dai tempi di Boole, Touring, etc. e che rappresenta i due stati logici di verità e falsità ma impiegherà i qubits, ovvero “0 oppure 1 oppure ancora 0 1 assieme” rendendo quindi possibile al pc essere in entrambi gli stati vero e falso nello stesso tempo (un esempio che, grazie a The big bang theory, più o meno tutti ora conoscono è il paradosso del gatto di Schrödinger – che qui spiego a modo mio e che tendenzialmente viene semplificato troppo nella formula “l’osservatore non sa se il gatto nella scatola è vivo o morto” – immaginiamoci un fotone che parte e viene suddiviso da una sorta di separatore: il fotone. quindi, si suddivide in due fasci di cui uno è collegato ad uno strumento che andrà ad uccidere il gatto mentre l’altro risulterà essere innoquo. Queste due alternative create dal separatore implicano una sovrapposizione lineare quantistica e l’utilizzo dell’equazione deterministica lineare di Schrödinger per cui l’evoluzione temporale è totalmente fissata ad un istante X; il sistema quantistico però non si comporta in modo deterministico per cui tale equazione si sovrappone ad esso implicando una sovrapposizione dei numeri complessi, come pesi, di un gatto morto e di un gatto vivo: otteniamo, così, la coesistenza di un gatto vivo e morto nel medesimo istante). Ecco, allora, come e perché il computer quantico è in grado di processare contemporaneamente più operazioni avendo un grosso impatto anche nell’estrema velocità di esecuzione e nella memoria richiesta per tali calcoli rispetto al nostro attuale pc. Così facendo, avendo una maggior velocità e possibile utilizzo di memoria il computer sarà in grado di calcolare problemi estremamente difficili in pochissimo tempo.
Ovviamente per un computer così potente serve un sistema di raffreddamento altrettanto forte anche per la delicatezza delle informazioni quantiche. Il normale processore in silicone a cui siamo abituati viene sostituito, infatti, dal niobium chip, fatto appunto del metallo chiamato niobium, che genera meno calore del primo ed è in grado di operare a velocità superiori a 100GHz senza alcun problema. Essendo però fatto di materia metallica e volendo che il qubit si comporti esattamente come un elettrone si presenta la necessità di raffreddare il niobium chip ad una temperatora di 10 millikelvins corrispondenti a -273,14°. Ciò significa che, per il D-Wave Two, è stato ricreato un ambiente interno al computer dove le temperature risultano essere 100 volte più fredde dello spazio interstellare (per chi non lo ricordasse lo zero assoluto si trova a – 273,00°C).
Ecco spiegato perché il pc ha bisogno di essere grande quanto un armadio: per creare l’isolamento necessario a tale situazione ambientale è richiesto uno scudo di ben quindici strati di protezione comprendendo anche dei livelli di protezione contro il campo elettromagnetico, che all’interno dello scudo raggiunge – 50.000x rispetto a quello terrestre, sempre a causa della delicatezza dei qubits. La stessa pressione atmosferica è di 10 bilioni di volte minore della nostra.
Bisogna anche tener conto del fatto che a tutt’oggi lo studio degli stati quantici e della quantistica in generale continua a procedere non essendo stata, del tutto, compresa dagli studiosi: questo logicamente implica anche l’impossibilità momentanea di comprendere a pieno l’uso, il funzionamento ed il tipo di programmazione specifica richiesta per sviluppare un vero e proprio computer quantico.
A cosa potrebbe servire però un computer quantico? Provate a pensarci… che ne dite di un sistema di hacking talmente potente da poter decriptare le nostre password più difficili, anziché in anni, in pochi secondi? Oppure della possibilità di monitorare e condensare tutta la conoscenza matematica per poter trovare delle risposte che non ci siamo ancora mai immaginati? Oppure ancora una realtà virtuale talmente reale dal non essere più in grado di comprendere il confine tra artificiale e naturale?
Ci vorranno ancora sicuramente degli anni ma è affascinante pensare alle potenzialità di una macchina quantica ed anche alla difficoltà nel comprenderla e programmarla.
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